Piero Jahier
Piero (Paolo) Jahier (11 aprile 1884 - 19 novembre 1966), scrittore, giornalista e poeta, antifascista a Firenze e Bologna, partecipò alla resistenza nel nucleo dei ferrovieri.
Biografia
Nato a Genova, era figlio del pastore Pier Enrico Jahier e della fiorentina Giuseppina Danti. Cresciuto in una famiglia evangelica (entrambi i genitori furono legati prima alla Chiesa dei Fratelli e poi alla Chiesa battista), compì gli studi elementari a Susa e quelli superiori a Firenze, città dove frequentò il Liceo “Dante Alighieri”.
Rimasto orfano di padre all'età diciannove anni, si iscrisse alla Facoltà valdese di Teologia grazie ad una borsa di studio, abbandonandola però due anni dopo, nell’aprile 1905, colpito da una profonda crisi religiosa. Questa non scalfì però il suo senso di appartenenza al mondo valdese, al quale fu sempre molto legato, soprattutto dal punto di vista morale. Non a caso i suoi primi articoli su «La voce» furono dedicati alla realtà valdese.
Le necessità della famiglia (che nel 1889 aveva perso tutti i propri risparmi nel fallimento della banca Guarducci e comprendeva cinque figli oltre a Piero) lo indussero ad entrare nella “Società adriatica di ferrovie” un mese dopo l’abbandono degli studi. Iniziò quindi a lavorare a Bari, ma dopo pochi mesi ottenne il trasferimento come contabile a Firenze.
Nel 1910 sposò Elena Giulietta Rochat Cordey – figlia del pastore valdese Giovanni Rochat – con la quale ebbe i figli Guidobaldo, Gioietta, Valentino e Mirella.
Laureatosi nel 1911 in Legge a Urbino, si trasferì successivamente a Torino dove ottenne il diploma per l’insegnamento del francese. La sua vocazione letteraria e intellettuale, sostenuta dal confronto con la cultura europea – in particolare francese, con autori come Paul Claudel e Charles Péguy – trovò diversi sbocchi, dalle traduzioni (da Claudel, a Molière, Conrad, Stevenson…), alla scrittura di testi narrativi e poetici (influenzati, oltre che dalla cultura francese, dalle correnti italiane del futurismo e dei poeti legati a «La voce» e «Lacerba», come pure dai testi biblici che costituivano la sua prima formazione intellettuale, e dalle forme letterarie popolari), alla collaborazione a diverse testate giornalistiche.
Scrisse sulla prestigiosa rivista fiorentina fondata da Giuseppe Prezzolini, «La voce», dal 1909, soprattutto articoli sui valdesi (Quel che rimane di Calvino, I valdesi nelle valli, I protestanti in Italia). Nel 1911-13, ottenuto un periodo di aspettativa dall’impiego nelle ferrovie, fu responsabile della libreria de «La voce». Con lo stesso Prezzolini progettò e costruì una casa nella zona di Campo di Marte, detta poi “casa rossa”, nella quale i due scrittori vissero per un periodo di non facile coabitazione, terminato nel 1915 con l’abbandono di Prezzolini.
Dichiarato abile alla visita di leva nel 1904, ma esonerato in quanto figlio primogenito di madre vedova, fu richiamato alle armi e il 19 agosto 1915 nominato sottotenente nella milizia territoriale (formata da ufficiali maturi e istruiti, inizialmente assegnata alle retrovie) e assegnato al 7° reggimento alpini. Pur avendo la possibilità di essere dispensato in quanto ispettore delle ferrovie, chiese di andare al fronte, dichiarandosi interventista e preferendo definirsi “volontario di guerra”.
Giunto a Belluno il 29 febbraio 1916, fu incaricato dell’addestramento delle reclute per motivi di anzianità e perché non in possesso di un grado sufficiente per comandare una compagnia al fronte. Poco dopo l’arrivo a Belluno fu trasferito sul col Visentin, una zona relativamente lontana dal fronte, a circa 10 chilometri da Vittorio Veneto, dove rimase fino all’ottobre 1917. Qui scrisse Con me e con gli alpini e le poesie edite nel 1916-17.
Dopo la sconfitta di Caporetto, fu destinato al battaglione che riuniva i soldati sbandati, quindi nel gennaio 1918 al battaglione “Monte Pasubio” del 6° reggimento alpini. Passò intanto al “servizio P”, il reparto che si occupava di propaganda, assistenza e vigilanza ai militari e civili nelle zone del fronte. Ne diventò uno dei più noti ufficiali, in quanto direttore del giornale per i soldati «L’Astico», che uscì dal febbraio al novembre 1918 (i suoi contributi erano firmati con il nome “Barba Piero”). Era un ruolo molto importante di vigilanza e motivazione delle truppe, per il quale erano necessarie spiccate doti culturali e comunicative, ed era ricoperto da intellettuali, giornalisti, avvocati, insegnanti, alcuni molto noti.
Nel febbraio 1918 fu intanto assegnato al comando della 9° divisione, e in ottobre al comando della I armata. Il 20 giugno 1919 tornò al deposito del 7° reggimento alpini, e fu congedato il 12 luglio. Compiuto con meticolosità il suo dovere di ufficiale ligio ai regolamenti, nel corso della guerra ottenne diverse promozioni e la croce al merito di guerra.
Tornato brevemente al lavoro di ferroviere, chiese nuovamente l’aspettativa per dirigere , dal 31 luglio al 31 dicembre 1919, il giornale «Il nuovo contadino», prosecuzione ideale de «L’Astico», ideato da Jahier stesso e da Giuseppe Prezzolini, con l’intento di continuare l’opera di educazione sociale e civile delle classi popolari iniziata durante la guerra, rivolgendosi ai reduci provenienti dal mondo contadino. Si trattava di un caso interessante, in quanto estraneo sia alla corrente socialista sia a quella cattolica. Il progetto ebbe breve durata, e ben presto Jahier si dimise dall’incarico.
Nel 1919 furono pubblicati Ragazzo, in cui rievocava la propria infanzia e adolescenza, e Con me e con gli alpini. In quest’ultimo raccontava la dura realtà della trincea e il sacrificio dei soldati, esprimendo anche l’amore genuino per il popolo, che l’aveva spinto a partecipare alla guerra, vista come atto finale del Risorgimento, con una scelta maturata in modo sentito e convinto («per far compagnia a questo popolo digiuno / che non sa perché va a morire», incipit di Con me e con gli alpini). Aveva voluto guadagnarsi uno spazio tra «questo popolo illetterato / che non prepara guerre perché di miseria ha campato», in particolare quello delle montagne, identificando negli alpini la rappresentazione della totalità dell’esercito.
Il libro ebbe grande notorietà, al punto che Benito Mussolini gli offrì il ruolo di redattore capo de «Il Popolo d’Italia»; incarico che Jahier rifiutò, attirando su di sé l’ostilità fascista, che culminò nel 1924 con il pestaggio e il fermo durante la commemorazione di Giacomo Matteotti (organizzata insieme a Carlo Rosselli al Cimitero delle porte sante) e con la sua schedatura come antifascista militante.
Tornò quindi al lavoro nelle ferrovie, entrando presto nell’antifascismo fiorentino con la partecipazione al Circolo di cultura fondato nel 1923 insieme a Gaetano Salvemini, poi distrutto da un’azione fascista.
Nello stesso periodo fondò con Piero Calamandrei ed Ernesto Rossi il giornale «Fanteria», rivolto agli ex-combattenti, che dopo un iniziale favore verso il fascismo se ne distaccò, soprattutto dopo l’omicidio Matteotti, e che fu chiuso nel dicembre 1924, dopo aver chiesto insistentemente chiarimenti sull’omicidio. Nel 1924 Jahier si iscrisse al partito socialista unitario di Matteotti, come molti altri intellettuali in segno di protesta.
Nel 1925 collaborò al giornale clandestino «Non Mollare!», nato in gennaio e chiuso alla fine dell’anno in seguito alle violenze perpetrate dai fascisti sui collaboratori e le tipografie. Jahier ebbe un forte legame con i suoi ispiratori, Gaetano Salvemini, i fratelli Rosselli, e partecipò agli scontri, non solo verbali, con i fascisti.
Diventata insostenibile la vita a Firenze, nel 1926 fu trasferito a Bologna (e raggiunto dalla famiglia due anni dopo), continuando a lavorare per le ferrovie, prima come ispettore di movimento poi come ispettore per la repressione dei reati ferroviari. Qui non vennero meno le imposizioni del regime, dalla stretta sorveglianza, a perquisizioni periodiche, fino al divieto di scrivere.
Nel 1931 fu aperto un fascicolo su di lui nel Casellario politico centrale, che schedava gli oppositori (o presunti tali) del regime, ma nonostante ripetuti tentativi del Ministero delle Comunicazioni di trovare elementi che giustificassero provvedimenti disciplinari e il licenziamento, non emerse mai nulla contro Jahier. La stima dei superiori e delle autorità bolognesi, così come la sua condizione personale (il fatto di essere volontario di guerra, decorato, e con quattro figli a carico) deposero a suo favore, e il fascicolo fu chiuso nel 1937.
Lavoratore assiduo e meticoloso, sebbene assegnato a incarichi minori, attraversò serie difficoltà economiche, aggravate dall’impossibilità di pubblicare. Questo influì negativamente sul mantenimento della famiglia, creando contrasti con la moglie e i figli, ma non impedì a Jahier di proseguire i propri studi, in particolare dell’inglese, e l’attività di traduttore, grazie alla collaborazione dell’editore Vallecchi, che dal 1939 pubblicò alcuni libri da lui tradotti (tra cui L’importanza di vivere, di Lin Yutang). Nello stesso anno l’editore pubblicò una nuova edizione di Ragazzo e alcune poesie, che riportarono lo scrittore alla notorietà, suscitando la curiosità di giovani intellettuali come Giaime Pintor e Cesare Pavese. La collaborazione con quest’ultimo portò a diverse traduzioni e pubblicazioni per Einaudi e una riedizione di Con me e con gli alpini nel 1943.
Diventato membro del Partito d’Azione clandestino a Bologna (nucleo dei ferrovieri), durante la guerra partecipò alla Resistenza incoraggiando i colleghi alla lotta contro il nazifascismo e reclutando partigiani; collaborò con le formazioni garibaldine di San Pietro in Casale, dove era sfollato per i bombardamenti nel 1943, e che aveva contribuito a far nascere, incoraggiando il comandante Marcello Zanetti.
Rimasto vedovo nel 1945, pensionato nel 1948, tornò alla “casa rossa” fiorentina, continuando la sua attività di traduttore, collaborando alle riviste «Il Ponte» e «Paragone» e dirigendo alcuni numeri de «La Pace». Fu anche membro di alcune giurie di premi letterari (Prato e Viareggio) e partecipò a iniziative per la pace (un incontro in Svezia per l’interdizione della bomba atomica, una conferenza su letteratura e pace in Unione Sovietica). Il suo ruolo di guida civile delle nuove generazioni proseguì dopo la guerra, quando si candidò alle elezioni comunali a Bologna nel 1951 come indipendente nelle liste di sinistra e nel 1956 a Firenze nel partito comunista.
Da sempre interessato alla cultura materiale e locale, dopo la guerra arricchì la collezione di oggetti del mondo alpino per il “Museo delle arti e tradizioni popolari di Roma”, mentre l’attività come scrittore e poeta si concentrò su una rilettura e riscrittura di quanto già prodotto nel periodo più fecondo (1909-17), integrandolo con scritti autobiografici sulle esperienze vissute in seguito. In questo periodo, nel 1964, riunì per la prima volta in un libro le sue poesie, pubblicate nel corso degli anni, edito da Vallecchi insieme a due riedizioni delle Resultanze e di Ragazzo e Con me e con gli alpini (riuniti in un unico volume).
Morì a Firenze il 19 novembre 1966.
Pubblicazioni principali
P. Jahier, La religione individuale, Lanciano, L. Carabba, 1912.
P. Jahier, Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi, Firenze, Libreria della Voce, 1915; Firenze, Vallecchi, 1966.
P. Jahier, Ragazzo, Roma 1919; insieme a Con me e con gli alpini, Firenze, Vallecchi, 1967.
P. Jahier, Con me e con gli alpini, Roma, La voce, 1919.
P. Jahier, Arte alpina, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1958.
P. Jahier, Qualche poesia, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1962.
P. Jahier, Poesie, Firenze, Vallecchi, 1964.
Bibliografia
Piero Jahier, 1918 L’Astico. Giornale della trincea, 1919 Il nuovo contadino, a cura di M. Isnenghi, Padova, il Rinoceronte, 1964.
Necrologio, in «L’Eco delle valli valdesi», n. 47, 2 dicembre 1966.
A. Armand Hugon, Com’era il paese, com’era?, in «L’Eco delle valli valdesi», n. 49-50, 23 dicembre 1966.
A. Benevento, Studi su Piero Jahier, Firenze, Le Monnier, 1972.
R. Forni, L’uomo dai capelli di lana bianca, Milano, Todariana, 1972.
P. Briganti, Jahier, Firenze, Il Castoro-La nuova Italia, 1976.
V. Vinay, Storia dei Valdesi III. Dal movimento evangelico italiano al movimento ecumenico, Torino, Claudiana, 1980.
M. Guglielminetti, “Con me” di Piero Jahier, in «Bollettino della Società di Studi valdesi», n. 156, gennaio 1985, pp. 73-80.
A. Albertazzi, L. Arbizzani, N.S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), in Dizionario biografico (D-L), volume III, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1986, p. 505.
M. Del Serra, L’uomo comune. Claudellismo e passione ascetica in Jahier, Bologna, Patron, 1986.
F. Petrocchi, Conversione al mondo. Studi su Piero Jahier, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1989.
G. Spini, Italia liberale e protestanti, Torino, Claudiana, 2002.
G. Izzi, Jahier Piero, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 62, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2004, pp. 126-131.
Piero Jahier: uno scrittore protestante? a cura di Davide Dalmas, Atti del XLIII Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia, Torino, Claudiana, 2006.
M. Bracchitta, Figure evangeliche dell’antifascismo e della Resistenza bolognese, in Gli evangelici nella Resistenza, a cura di Carlo Papini, Torino, Claudiana, 2007, pp. 39-69.
Resultanze in merito alla vita e all’opera di Piero Jahier. Saggi e materiali inediti, a cura di F. Giacone, Firenze, Olschki, 2007
- A cura di Sara Tourn